LEILA DELLA TEMPESTA
Stagione 2019-20
giovedì 07 Novembre
20:45
uno spettacolo di Alessandro Berti
dal libro omonimo di Ignazio de Francesco
con Sara Cianfriglia e Alessandro Berti
una produzione Casavuota
con la collaborazione di UNEDI Roma / associazione Ca’ rossa Bologna / I Teatri del Sacro Roma / edizioni Zikkaron Reggio Emilia
e l’aiuto di Caterina Bombarda e Maurizio Sangirardi
“Certe volte mi viene paura di impazzire. E il tempo qui non passa mai. Passerà. Più in fretta di quel che immagini. Mi sembra di non essere stata libera mai.
Lo sarai, all’improvviso. Un giorno ti chiameranno e sarai fuori. Sarà magari di sera, di notte. Ho visto gli occhi di chi usciva più smarriti, più angosciati di quando è entrato. Ti troverai su una strada, con due sacchi di plastica in mano. Non è facile Leila. Malgrado tutta la tua buona volontà di uscire fuori dal giro. Senza nessuno che ti aspetta. Nessun aiuto, nessun progetto. Solo quel mondo che ti ha portata dentro sembra tenderti la mano, ancora, sempre. In Italia tanti tornano dentro, dopo poco. In altri posti è diverso, ti accompagnano. E dentro non ci ritorni, ce la fai. Ma qui da noi è dura. La vita sembra che ti spinga a perderti, poi ti punisce per quello a cui ti ha spinta.
E questa punizione sarebbe giustizia? No. Forse no.”
Dentro il carcere di Bologna, da anni, ha luogo un progetto prezioso di dialogo coi detenuti stranieri a partire dalle loro radici culturali e religiose. Cominciato da Pier Cesare Bori e portato avanti da Ignazio De Francesco, questo dialogo scommette sull’importanza, per il detenuto, di una presa di coscienza della propria cultura di provenienza, come chiave per un recupero della persona attraverso la pena.I fatti degli ultimi anni, con le carceri come luoghi di veloci radicalizzazioni, di vocazioni artefatte, segrete e orchestrate da reclutatori senza scrupoli, danno ragione a quest’opera profetica di Bori.
Nel libro di De Francesco, Leila della tempesta, che racconta quattro anni di incontri coi detenuti e le detenute di lingua araba, emerge proprio il rapporto con una di loro, Leila, una ragazza tunisina.
In questa relazione tra il volontario (monaco cristiano e islamologo) e la detenuta (musulmana e di una religiosità popolare) vengono a galla alcuni temi forti, che appassionano entrambi: la fede religiosa, il rapporto tra legge sacra (sharìa) e costituzione italiana (ma anche la nuova costituzione tunisina, l’unica che la Primavera Araba ha partorito), il senso della detenzione come momento fondamentale per cercarsi e ritrovarsi invece che come intermezzo di noia sedata.